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Un gioco che sospende, almeno per i sessanta minuti dell’esperienza comune, il confine fra spettatori e attori, accettando la comune responsabilità di una storia collettiva. Un ruolo decisivo gioca nello spettacolo (o rito?) la totale assenza di azioni narrative, l’esporsi degli attori come rappresentanti dell’umanità radunata per l’occasione, il loro lasciarsi guardare nel rapporto con il testo di Handke, che risulta in tal modo sorprendentemente e inquietantemente familiare a tutti. Quello che si manifesta attraverso il gesto dell’autodiffamazione non è tanto un “noi”, quanto un “io-tu”, un “io-tutti”: cosa importa infatti l’aver o meno compiuto “personalmente” una determinata azione, l’aver pronunciato “personalmente” una determinata frase quando c’è comunque qualcuno che lo ha fatto. Esiste un testo di cui è fatto il mondo, alla cui responsabilità non si sfugge.
Attraverso questo “semplice” gioco con un testo si manifesta con immediatezza tutto ciò che caratterizza il presente: l’isolamento, la continua violenza perpetrata sul proprio spazio interiore, il desiderio d’intimità, l’essere impacciati nell’uso della lingua, la difficoltà di un pensiero non già pensato, lo scandalo di un sentimento collettivo, il disorientamento politico, il miracolo dell’empatia che sopravvive nonostante tutto.
E’ uno spettacolo nato dal desiderio di concentrazione e di contatto reale con il pubblico, che sviluppa proprio in virtù della sua urgenza autentica e della sua fiducia nei propri mezzi, un alto grado di efficacia. Concentrazione e contatto reale necessitano di tempo, forse addirittura di lentezza nel rapporto con il mondo, il ché suona quasi scandaloso.
«La scelta del bilinguismo, con l “habitus” linguistico diverso dei due attori, fatti di suoni, ritmi, tonalità e musicalità differenti, rende inoltre particolarmente visibile l’estraneità, la lingua come abito/abitudine, che ci viene fatta indossare quasi “per forza”, una lingua frutto dell’educazione, una lingua che non basta mai e che cerca, attraverso la descrizione minuziosa, attraverso parafrasi, o appunto attraverso una traduzione, di tirare fuori dal guscio l’essenza non dicibile.
Lo spettacolo mostra che cosa è la lingua, cosa può essere, producendo contemporaneamente un potenziale di pensiero non integrabile e non camuffante, ma essenziale e fecondo: qualcosa di cui il nostro presente ha bisogno».
Lo spettacolo è ospitato in collaborazione con Goethe Institut Genua
di Peter Handke
progetto e regia
Lea Barletti / Werner Waas
con Lea Barletti, Werner Waas
musica Harald Wissler
SPETTACOLO BILINGUE ITALIANO/TEDESCO CON SOVRATITOLI
Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse onlus
Piazza Renato Negri,6 – 16123 Genova
p. iva 01519580995 | codice identificativo 5RUO82D